Vie, Saperi, Religioni
Materiali
Che
differenza c’è tra una via, un sapere o una religione?
La
religione
Una
religione ti chiede di effettuare preventivamente un atto di fede. Ti
chiede di credere in un certo numero di “verità” che qualificano
la religione stessa. Più precisamente, ti chiede di neutralizzare
tutti gli schemi, gli atteggiamenti, le abitudini, le maschere, che
non sono congruenti con le verità religiose e di assumere tutte e
solo le strutture mentali, caratteriali e operative proprie del
gruppo religioso a cui vuoi appartenere. Nel cattolicesimo, per
esempio, si recita appunto il “credo”, la formulazione esplicita
delle verità che si accettano come rivelate e di cui la struttura
religiosa ecclesiastica si proclama garante. La formulazione è
esplicita.
Il
celebrante rivolge una serie di domande del tipo: “Credete voi
che…?” e il popolo o il singolo rispondono: “Io credo”.
I
cosiddetti “ricercatori spirituali” che si scagliano contro le
religioni come se fossero il male oscuro da cui ci si deve innanzi
tutto liberare, non comprendono il punto nevralgico di questa scelta
esistenziale: l’affidarsi.
Il
primo punto di ogni religione è l’affidamento fiduciale in qualcun
altro. Non è un valore da poco! L’affidamento totale è il punto
di forza di un bimbo. È ciò che lo fa stare bene, senza alcun
pensiero. La capacità di abbandono del credente è un valore
immenso, che anche all’interno di una via sarà necessario
riscoprire. Il devoto si abbandona fra le “braccia” del Dio in
cui crede e, così facendo, si espropria (o si dovrebbe espropriare)
del proprio ego, lascia che le proprie azioni siano guidate non dalla
sua propria miope visione del mondo e della vita, ma da una logica
superiore le cui trame egli non sempre comprende, ma della cui
esistenza è “certo per fede”. All’interno di un affidamento
religioso, non sempre si comprende il significato di ciò che accade
nella vita, ma ci si affida alla certezza che, comunque, tale
significato esista e sia in vista del bene. È il medesimo
atteggiamento che spinge il praticante di una via a “stare nel
flusso” delle energie universali o a seguire il proprio Guru.
Il
verbo chiave dei percorsi religiosi è “credere”. Credere, in
senso superficiale, significa accettare acriticamente delle verità,
semplicemente perché un altro di cui ci fidiamo ce le propone. In
senso più profondo, significa abbandonarsi in totale fiducia
nell’energia vitale di un altro, lasciar cadere l’ego e la
pretesa di controllare e dirigere l’esistenza.
Il
sapere
Un
“sapere”, come ad esempio la scienza, o la filosofia, ti chiede
di cercare, almeno all’inizio della tua ricerca, di essere il più
possibile “vuoto” da pregiudizi, preconsiderazioni, credenze,
abitudini di pensiero, ecc. Su questo aspetto il sapere è una
prospettiva opposta all’atteggiamento religioso. Il sapere chiede
di “non credere”, o, almeno, di mettere tra parentesi ciò in cui
credi. Certamente è del tutto impossibile “svuotarsi” in senso
assoluto. Noi siamo immersi in una cultura, in un linguaggio, in
abitudini di vita, in un ambiente che inevitabilmente condiziona la
nostra visione del mondo prima che ci mettiamo in ricerca, e i saperi
ci chiedono semplicemente di rimanere aperti al nuovo, di far sì che
le armature psicologiche e cognitive che abbiamo addosso non ci
condizionino al punto tale da non lasciarci fare alcuna nuova
esperienza. La filosofia è particolarmente abile nello smontare i
preconcetti, nel mandare in crisi le convinzioni assunte per
abitudine
Una
volta raggiunto questo atteggiamento di apertura, i saperi cercano di
elaborare modelli esplicativi della realtà, costruiti su base
razionale. Tali modelli “scientifici” non hanno la pretesa di
dire “la realtà è fatta così e così” (questo è invece ciò
che crede la gente), ma semplicemente vogliono dire che “la realtà
funziona ‘come se’ fosse fatta così e così”.
Questo
è un punto nevralgico. La scienza “onesta” non ha affatto la
pretesa di rivelare “verità oggettive” sullo stato della realtà,
ma semplicemente di trovare dei modelli congruenti per descriverla e
poter operare su di essa. Lo scopo dei modelli scientifici e di
qualsiasi altro sapere è prevalentemente funzionale: mettere ordine
nel caos e consentirci di “fare qualcosa” con la realtà che ci
circonda. Trovare i mezzi e i protocolli adeguati per raggiungere
certi fini. I saperi razionali non hanno l’intenzione e la pretesa
(non dovrebbero averla!) di affermare come è fatta la realtà o
quali siano gli obiettivi a cui dobbiamo mirare, ma solo di fornirci
strumenti adeguati per raggiungerli, nell’ambito del mondo fisico
in cui siamo incarnati.
I
cosiddetti “ricercatori spirituali” che si scagliano contro i
saperi razionali e la “mente”, che sarebbero un ostacolo alla
vera evoluzione spirituale, dimostrano solo la loro inconsapevolezza.
Anzi, un profondo allenamento razionale a identificare pregiudizi,
preconcetti, schematismi e luoghi comuni, un’abitudine mentale alla
totale libertà di indagine e di ricerca, sono valori altissimi e
presupposti essenziali per qualunque via spirituale.
Il
verbo chiave dei percorsi cognitivi è “sapere”. Sapere significa
essere aperti alle esperienze, analizzarle razionalmente, catalogarle
sulla base di modelli, collegarle fra loro e renderle utilizzabili
per strutturare processi operativi concreti. Si tratta di un lavoro
prezioso e la mente razionale che lo effettua non è un nemico da
abbattere, ma un dono di immenso valore. L’errore da evitare
consiste semplicemente nel non chiedere ai saperi e alla mente
razionale che li costruisce, di fare cose che non possono fare (per
esempio determinare i fini dell’esistenza) o di operare in ambiti
che non gli competono.
La
Via
Una
“via” è un percorso esistenziale che avviene attraverso un
quotidiano “sperimentare”. Una via, all’inizio, ti chiede, come
i saperi, di non credere. Esattamente come i saperi, una via ti
chiede di neutralizzare le credenze, le opinioni, le maschere, le
abitudini, gli schemi. In questo il percorso di una via è assai
vicino all’atteggiamento scientifico. La differenza sta nel fatto
che, mentre la neutralizzazione degli schemi richiesta dai saperi è
solo di tipo cognitivo ed quindi effettuata attraverso un percorso di
purificazione dei processi mentali razionali, la neutralizzazione
degli schemi richiesta da una via è di tipo esistenziale e quindi
molto più profonda e complessa, perché può avvenire solo grazie ad
un processo di purificazione totale: del corpo, della psiche (sensi,
mente razionale, emozioni, coscienza) e dell’energia.
Si
può dire che la parte preponderante del percorso di qualunque via
consista proprio e solo in questa purificazione: questa è la
“sadhana”, il lavoro quotidiano fatto di gesti, tecniche
meditative e tutto l’ampio bagaglio di azioni che hanno l’unico
scopo di far venire allo scoperto le maschere, le resistenze, i
blocchi, le formazioni reattive ecc.
Il
verbo chiave per chi percorre una via è “com-prendere”. Qui,
com-prendere non significa “capire”, ma “far entrare dentro di
sé”. Ed è questa la differenza essenziale tra un sapere e una
via. Nel caso del sapere le esperienze vengono portate dentro la
dimensione mentale razionale e opportunamente catalogate; nel caso di
una via le esperienze vitali vengono portate dentro il corpo, la
mente (globalmente intesa) e l’energia. Nell’atteggiamento
religioso le verità sono “oggettive” e vengono all’inizio del
cammino, in quello cognitivo le verità sono sempre parziali e
mutevoli e si incontrano e si lasciano durante il cammino, nel
percorso di una via le verità sono strettamente soggettive e si
manifestano da sole man mano che procede il processo di
purificazione. Per questo una via non si può insegnare, ma solo
testimoniare.
Man
mano che il praticante di una via avrà delle profonde com-prensioni
che gli sono entrate nelle cellule, in tutte le dimensioni della
psiche e in tutte le strutture energetiche, la sensazione di
chiarezza e di risveglio sarà talmente forte e rassicurante, che
letteralmente si potrà abbandonare in essa con la stessa fiduciosa
certezza con cui un credente si abbandona a Dio.